"Andare a scuola vuol dire scaraventarsi giù dal letto fino al cavalcavia, lungo strade battute tutti i giorni nello stesso modo. Significava mia mamma, mio padre, la nebbia, e i sedili neri di una macchina bianca: la stessa che mi portava al mare d’estate e che mi faceva sudare nei lunghi viaggi. Andare a scuola era la felicità di stare tutti e tre insieme come solo è concesso in rare occasioni: l’abitacolo era lo spazio in cui nessuno ci avrebbe divisi, ed era un misto di guazza, odore di mattino e rossetto di mamma. In quell’abbraccio tenero e umido, c’era la vita che avremmo smesso di fare insieme quando io non sarei più andata a scuola e loro a lavorare. Fino ad allora non avrei mai capito quanto fosse stato rassicurante avere la libertà di guardare fuori senza la paura di rimanere soli. La vita che è venuta dopo i viali alberati e le gambe dei bambini che andavano a prendere l’autobus è stata la cosa più dura da sopportare. Ho rincorso tutto il tempo quelle mattine e mi sono rifugiata nello stesso abitacolo in mancanza di uno spazio più familiare; cosa significhi in termini di “interior” non lo so , ma so per certo che esistono luoghi a più dimensioni in cui tutti abbiamo vissuto almeno una volta guardando le goccioline di condensa sul vetro.
Il banco della chiesa è il posto delle ginocchia e dei santini, dei gesti che non capisci. La madre di fianco e una signora anziana di fronte. Lo spazio del banco è odore d’incenso e occhiali appannati, un tempo interminabile di preghiere che si cerca di comprendere per la voglia di conoscere. E’ il velo di pizzo nero della vedova e l’odore dei paltò tirati fuori dall’armadio, naftalinici.Il legno d’ulivo, la tovaglia di lino, i fiori sull’altare. Le mani della vicina con le grinze per via dell’età e i capelli viola per la tinta venuta male.Il banco della chiesa è quello in cui non ci si inginocchia più e scricchiola forte, ogni volta che pensiamo alla fede e se c’è. Un prete antipatico, di quelli che ti scrutano da sopra all’altare.
E’ bello poter guardare da dietro la schiena del compagno, sentire le calze sfilate perché la sedia è sempre rotta. In un clima di torpore e mancanza di voglia, tra uno studente annoiato e la cattedra da fissare, il tema è l’opportunità di scrivere e guardarsi. In una classe vecchia come solo il liceo classico può offrire, si impara quello che nessuna scuola in seguito può spiegarti: si impara a ragionare, ad usare la logica, a fare cose.Mille altri mondi e “interni” da raccontare che costruiscono senza saperlo il pensiero d’interno.Da grandi può cambiare il posto in cui vivere e lavorare, forse cambia anche il gusto: di certo che non cambia la memoria dell’opportunità del tema.Non capisco come si possa non imporre il tema in classe a vita come angolo da cui sentire l’esistenza.