Milly

Nata a Rieti, si laurea in Architettura d’Interni a Roma “La Sapienza” nel 2008 e inizia la collaborazione con lo studio di progettazione “Pasquali e Associati”.

Consegue il master in“Allestimento di spazi museali” presso la facoltà di Architettura de "La Sapienza".

Partecipa alla biennale d’architettura del 2008 per l’allestimento del padiglione “INARCH”, si occupa del coordinamento del padiglione I.E.D. in collaborazione con Ikea al festival del cinema di Roma dello stesso anno, continua l’attività di ricerca mirata alla progettazione d’interni come assistente del corso di “Design industriale” e al “Laboratorio di progettazione d’interni” tenuti dal prof. Giuseppe Pasquali.

In maniera autonoma porta avanti una proposta di disegno d’interni incontrando le persone in un negozio, cercando di comunicare attraverso le proprie visioni d’interno.

Dal 2010 insegna allo I.E.D. di Roma nel Master in Interior Design.

ANDARE A SCUOLA

"Andare a scuola vuol dire scaraventarsi giù dal letto fino al cavalcavia, lungo strade battute tutti i giorni nello stesso modo. Significava mia mamma, mio padre, la nebbia, e i sedili neri di una macchina bianca: la stessa che mi portava al mare d’estate e che mi faceva sudare nei lunghi viaggi. Andare a scuola era la felicità di stare tutti e tre insieme come solo è concesso in rare occasioni: l’abitacolo era lo spazio in cui nessuno ci avrebbe divisi, ed era un misto di guazza, odore di mattino e rossetto di mamma. In quell’abbraccio tenero e umido, c’era la vita che avremmo smesso di fare insieme quando io non sarei più andata a scuola e loro a lavorare. Fino ad allora non avrei mai capito quanto fosse stato rassicurante avere la libertà di guardare fuori senza la paura di rimanere soli. La vita che è venuta dopo i viali alberati e le gambe dei bambini che andavano a prendere l’autobus è stata la cosa più dura da sopportare. Ho rincorso tutto il tempo quelle mattine e mi sono rifugiata nello stesso abitacolo in mancanza di uno spazio più familiare; cosa significhi in termini di “interior” non lo so , ma so per certo che esistono luoghi a più dimensioni in cui tutti abbiamo vissuto almeno una volta guardando le goccioline di condensa sul vetro.

IL BANCO DELLA CHIESA

Il banco della chiesa è il posto delle ginocchia e dei santini, dei gesti che non capisci. La madre di fianco e una signora anziana di fronte. Lo spazio del banco è odore d’incenso e occhiali appannati, un tempo interminabile di preghiere che si cerca di comprendere per la voglia di conoscere. E’ il velo di pizzo nero della vedova e l’odore dei paltò tirati fuori dall’armadio, naftalinici.Il legno d’ulivo, la tovaglia di lino, i fiori sull’altare. Le mani della vicina con le grinze per via dell’età e i capelli viola per la tinta venuta male.Il banco della chiesa è quello in cui non ci si inginocchia più e scricchiola forte, ogni volta che pensiamo alla fede e se c’è. Un prete antipatico, di quelli che ti scrutano da sopra all’altare.

TEMA IN CLASSE

E’ bello poter guardare da dietro la schiena del compagno, sentire le calze sfilate perché la sedia è sempre rotta. In un clima di torpore e mancanza di voglia, tra uno studente annoiato e la cattedra da fissare, il tema è l’opportunità di scrivere e guardarsi. In una classe vecchia come solo il liceo classico può offrire, si impara quello che nessuna scuola in seguito può spiegarti: si impara a ragionare, ad usare la logica, a fare cose.Mille altri mondi e “interni” da raccontare che costruiscono senza saperlo il pensiero d’interno.Da grandi può cambiare il posto in cui vivere e lavorare, forse cambia anche il gusto: di certo che non cambia la memoria dell’opportunità del tema.Non capisco come si possa non imporre il tema in classe a vita come angolo da cui sentire l’esistenza.

 

PUBBLICAZIONI

“Giuseppe Pasquali e il caso Forma & Memoria”
ed. “L’Erma di Bretschneider”


“Chiese della periferia romana”
ed. Electa 2013


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